Scrivere è facile. Far funzionare una storia, no.
Non parlo di grammatica o ortografia. Parlo di struttura, ritmo, scelte narrative.
Di quella sensazione sottile che ti assale quando rileggi e ti chiedi: questa roba sta in piedi o mi sto solo illudendo?
Lo so, perché lo faccio anche io.
E perché negli ultimi anni ho analizzato decine di testi di chi scrive in self o pubblica online.
Ci sono segnali chiari — a volte ignorati — che ti dicono se una storia tiene, coinvolge, spinge a voltare pagina.
Qui te ne racconto sei.

1. La premessa è chiara (anche senza spiegoni)?
Molti autori partono a scrivere con un’idea forte in testa, ma faticano a comunicarla in modo sintetico. Se ti servono dieci righe per spiegare di cosa parla la tua storia, probabilmente la premessa non è ancora solida.
Una buona premessa narrativa si può riassumere in massimo tre righe. Deve contenere: chi è il protagonista, cosa vuole, cosa si mette in mezzo. Se riesci a farlo senza perderti in dettagli, allora hai una base chiara. Se invece ti incarti ogni volta che provi a raccontarla, forse c’è ancora qualcosa da mettere a fuoco.
2. I personaggi scelgono, non subiscono
Uno degli errori più frequenti nelle storie emergenti è la protagonista (o il protagonista, via, concedetemi il femminile) passiva. Non per carattere (può anche essere timida, confusa, fragile), ma per funzione narrativa: subisce tutto, reagisce poco, prende decisioni solo quando è troppo tardi.
Un personaggio trascinato dalla trama non crea mai coinvolgimento profondo. Il lettore si chiede: perché sto seguendo questa persona, se nemmeno lei sa cosa vuole?
Un buon personaggio prende decisioni, anche sbagliate. Agisce in base a ciò che crede giusto, genera conseguenze, cambia idea, sbaglia di nuovo. Questo crea agency: cioè la sensazione che stia muovendo la storia, non solo galleggiando.
3. C’è un ritmo narrativo, non solo una somma di eventi
Una trama può essere piena di azioni, ma allo stesso tempo priva di ritmo. Il ritmo è la gestione del tempo, delle pause, della tensione. Non è solo “cosa succede”, ma come lo fai succedere.
Se in un capitolo accade troppo (e tutto insieme), il lettore fatica a seguirti. Se non succede nulla per pagine intere, la narrazione si svuota. Alternare momenti ad alta intensità e fasi di respiro è fondamentale. Il conflitto deve salire, ma deve anche lasciarti lo spazio per metabolizzarlo.
Il ritmo è la differenza tra “ho letto dieci pagine e non me ne sono accorto” e “sto ancora cercando di capire dove siamo”.
4. La voce è coerente con ciò che racconti
La voce narrativa è un filtro potente. Determina il tono, il coinvolgimento, la credibilità. Ma spesso viene trascurata. Se stai scrivendo un dark romance, ma il tono è quello di una newsletter aziendale, qualcosa non torna.
La coerenza tra contenuto e voce è cruciale: una storia cupa può anche avere ironia, ma deve rispettare l’atmosfera. Una storia leggera non può avere frasi troppo barocche o drammatiche.
Non serve scimmiottare nessuno, ma trovare un tono che sia tuo e credibile nel genere che hai scelto.
5. Sai cosa vuoi far provare a chi legge?
Una delle domande più utili che puoi farti è: cosa voglio lasciare al lettore?
Non parlo di morale o insegnamenti, ma di sensazioni. Ti interessa generare disagio, tensione, speranza, desiderio, nostalgia? Se non hai una risposta chiara, la storia rischia di essere solo una sequenza di eventi, senza effetto.
Sapere l’effetto emotivo che vuoi suscitare ti aiuta anche a fare scelte più precise: su come chiudi una scena, che linguaggio usi, quanto mostri o nascondi. Una storia è esperienza. E l’esperienza, spesso, è più forte della trama.
6. Le azioni devono nascere da contesto, non da convenienza narrativa
Uno degli errori più fastidiosi, soprattutto nei romanzi più leggeri o scritti in fretta, è vedere i personaggi agire in modo incoerente solo per far avanzare la trama. Non si costruisce un contesto, non si approfondisce la psicologia: semplicemente, accade qualcosa perché “doveva succedere”.
Questo si nota subito: il personaggio A dovrebbe fare X, in linea con il suo carattere, con ciò che ha vissuto, con il tono della storia… e invece fa qualcosa di completamente scollegato, solo perché serve a far andare avanti il capitolo. Il lettore lo percepisce, anche senza saperlo spiegare: lo chiama “forzato”, o “poco credibile”.
Non significa che i personaggi debbano essere prevedibili, anzi: le eccezioni funzionano quando sono coerenti con un conflitto interno. Ad esempio, Javier — uno dei personaggi principali della saga di Confini Sfumati, in uscita a Ottobre 2025 — è figlio di una narcotrafficante ma vuole una vita diversa. La sua eccezione funziona perché nasce da dolore, consapevolezza, desiderio di fuga. Non è un colpo di scena, è un arco emotivo.
Se invece il comportamento di un personaggio cambia senza che ci sia una base reale, culturale, emotiva o narrativa… non è profondità.
È incoerenza. E svuota la storia.

In sintesi
Una storia non ha bisogno di essere perfetta, ma per funzionare deve essere costruita con coerenza, ritmo, intenzione.
Non basta che accadano cose: serve un contesto che le renda credibili e servono personaggi che, anche nelle loro eccezioni, restino fedeli a ciò che li muove.
Se ti stai chiedendo se la tua storia regge davvero, fermarti a rifletterci è già il primo passo.
Il secondo può essere farti leggere da chi ha uno sguardo esterno ma sa cosa guardare — e dove cercare i punti critici.
PS.
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Leggo la tua sinossi + i primi due capitoli della tua storia e ti restituisco un feedback tecnico, mirato, concreto.
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